Difendere le verità storiche con una legge? Si può e si deve

Ieri su Repubblica, ancora mio zio Giuliano:

IL NEGAZIONISMO IN ITALIA E IN EUROPA

Repubblica — 20 ottobre 2010   pagina 48   sezione: COMMENTI

Gentile Augias, ho trovato condivisibile ciò che lei ha scritto su “Repubblica” a proposito del negazionismo. Sempre su “Repubblica”, leggo un uomo politico autorevole e accorto come l’onorevole Casini dichiarare che – fermo restando che il negazionismo è «una vergogna per l’umanità» – l’idea di combatterlo attraverso una proibizione per legge «è una strada che la democrazia liberale non prevede».

In realtà, la strada è stata invece prevista dall’Unione europea in una tormentata Decisione Quadro del 28 novembre 2008 che vincola tutti i Paesi dell’Unione, Italia compresa. L’Ue vi è arrivata dopo sei anni di discussioni, volte a individuare un punto d’equilibrio che potesse contemperare due esigenze fondamentali apparentemente in contrasto: da un lato mantenere intatta – anche e specialmente nell’interesse dei posteri – la memoria storica dell’Olocausto; dall’altro garantire la tutela del diritto di libera manifestazione del pensiero.

Solo nell’aprile 2007 si è raggiunto l’accordo su un testo definitivo che, a giudizio di tutti i membri dell’Unione, Italia compresa, aveva saputo individuare quel difficilissimo punto di equilibrio. Mi è sembrato opportuno segnalare tutto ciò a lei, sia per la stima che nutro nei suoi confronti, sia per tentare in qualche modo di ovviare all’assoluta mancanza di informazione che permane intorno a questa materia.

Giuliano Turone – giulianoturone@alice. it

Ringrazio il professor Turone che ha allegato alla sua lettera, la Decisione Quadro n. 2008/913/GAI dell’Unione Europea che all’art.1 comma “c” recita: «Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché i seguenti comportamenti intenzionali siano resi punibili […]  l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, quali definiti agli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro».

Colpisce il riferimento non solo alla apologia e alla negazione ma anche alla “minimizzazione grossolana” di crimini contro l’umanità, Olocausto tra questi, ovviamente. All’articolo 10 lo stesso provvedimento prevede che gli Stati membri introducano nei loro codici la nuova norma penale entro il 28 novembre 2010.

Vale a dire che tra poco più di un mese il termine verrà a scadenza.

Dal momento che i presidenti delle due Camere hanno manifestato la volontà di legiferare sulla materia, la norma europea grandemente facilita il loro proposito.

CORRADO AUGIAS c.augias@repubblica.it

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/20/il-negazionismo-in-italia-in-europa.html

Informazione? No, meglio allusioni e mezze verità

La lettura di questo articolo di Giuseppe D’Avanzo su Repubblica conferma con dati di fatto concreti l’ipotesi che avevo letto sul blog Bioetica in un articolo di Giuseppe Regalzi secondo cui la misteriosa “nota” sarebbe un prodotto di chissà quale sottoscala sordido di chissà quale servizio segreto, ipotesi che mi era parsa molto verosimile.

Anche io avevo sentito puzza di dossier farlocco.
In modo probabilmente superficiale – e certo prevenuto – avevo però pensato che i fatti narrati fossero essenzialmente veri. Continuo a pensarlo, anche perché Boffo continua a non raccontare la sua versione sulla vicenda giudiziaria per chiudere la quale avrebbe pagato una cospicua multa, e questo silenzio rimane – ma solo dopo la lettura dell’articolo di Davanzo ho realizzato quanto lo scenario complessivo sia diventato incandescente.

L’evidenza sollecita qualche domanda preliminare: è vero o falso che Dino Boffo sia “un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni”? È vero o falso che la polizia di Stato schedi gli omosessuali?

Sono interrogativi che si pone anche Roberto Maroni, la mattina del 28 agosto. Il ministro chiede al capo della polizia, Antonio Manganelli, di accertare se esista un “fascicolo” che dia conto delle abitudini sessuali di Dino Boffo. Dopo qualche ora, il capo della polizia è in grado di riferire al ministro che “né presso la questura di Terni (luogo dell’inchiesta) né presso la questura di Treviso (luogo di nascita di Boffo) esiste un documento di quel genere” e peraltro, sostiene Manganelli con i suoi collaboratori, “è inutile aggiungere che la polizia non scheda gli omosessuali: tra di noi abbiamo poliziotti diventati poliziotte e poliziotte diventate poliziotti”. “Da galantuomo”, come dice ora il direttore dell’Avvenire, Maroni può così telefonare a Dino Boffo e assicurargli che mai la polizia di Stato lo ha “attenzionato” né esiste alcun fascicolo nelle questure in cui lo si definisce “noto omosessuale”.

[…]

Nessuna polizia giudiziaria, incaricata di accertare se ci siano state o meno molestie in una piccola città di provincia (deve soltanto scrutinare i tabulati telefonici), si dà da fare per accertare chi sia o meno a conoscenza nella gerarchia della Chiesa delle presunte “debolezze” di un indagato. Che c’azzecca? E infatti è una “bufala” che il documento del Giornale sia un atto giudiziario. E’ una “velina” e dietro la “velina” ci sono i miasmi infetti di un lavoro sporco che vuole offrire al potere strumenti di pressione, di influenza, di coercizione verso l’alto (Ruini, Tettamanzi, Betori) e verso il basso (Boffo). È questo il lavoro sporco peculiare di servizi segreti o burocrazie della sicurezza spregiudicate indirizzate o messe sotto pressione da un’autorità politica spregiudicatissima e violenta. È il cuore di questa storia. Dovrebbe inquietare chiunque. Dovrebbe sollecitare l’allarme dell’opinione pubblica, l’intervento del Parlamento, le indagini del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), ammesso che questo comitato abbia davvero la volontà, la capacità e soprattutto il coraggio civile, prima che istituzionale, di controllare la correttezza delle mosse dell’intelligence

Non stupisce il fatto che la vittima di questo killeraggio (come l’ha chiamato lui stesso) scriva oggi un editoriale assai meno forte, in cui finge di credere che si tratti di una questione tra lui e Feltri.

Il capolavoro di Boffo, non l’unico, è la frase in cui scrive:

non avevo neppure fatto troppo caso a dove si diceva che sarei stato da tempo «già attenzionato dalla Polizia di Stato per le mie frequentazioni» (ora, a scriverla, mi manca il fiato).

Da non credere…
Il direttore di un importante giornale legge di essere da tempo spiato dalla polizia perché ritenuto responsabile di comportamenti contro natura, e non ci fa caso?

E’ davvero incredibile. Come pare incredibile che non pensi ai servizi e sminuisca parlando di “lettera anonima”.

Ed è incredibile che non faccia nemmeno un cenno alla vicenda concreta, e dedichi invece un sacco di spazio a schermaglie un po’ infantili con Feltri.

Uno dei pochi messaggi chiari – a parte il preannuncio di una querela per lunedì – è un generico invito a “fare attenzione”, in particolare a colleghi giornalisti che “sembrano bene informati” ma potrebbero avere il dente avvelenato con Boffo perché non li aveva assunti all’Avvenire.
E qui – dopo tanti riferimenti che in parte mi sfuggono, destinati evidentemente a “chi sa” (o forse solo fuori luogo) – mi sembra di scorgere una chiara allusione a Mario Adinolfi, giornalista cattolico da tempo impegnato in politica (in passato nella DC, ora nel PD), che sulla vicenda aveva scritto già in passato, e che ora ribadisce calcando la mano, e citando un dettaglio che forse spiegherebbe il busillis: la polizia non scheda certo gli omosessuali in quanto omosessuali, come hanno detto a Maroni, però forse quando si occupa di prostituzione non distingue tra clienti eterosessuali e omosessuali, che sarebbero “attenzionati” in quanto clienti e non per le loro preferenze…

Simili resoconti non li cercherei nei commissariati di Terni o di Treviso, come avrebbe fatto il capo della polizia per riferirne al ministro Maroni, ma semmai a Roma o a Milano (visto che di ambienti milanesi parla Adinolfi).

Ad ogni modo io continuo a non capire bene il senso concreto di questa vicenda inquietante: una delle poche cose chiare è che la linea del Vaticano è quella solita: sopire e minimizzare. A loro piace raccontarla come una questione tra due direttori di giornale qualunque, e non dei quotidiani espressione diretta uno della CEI e l’altro di Berlusconi (che ha appena nominato personalmente il nuovo direttore, il cui stile è ben noto).

Il regolamento di conti avverrà in privato con Berlusconi (con anche qualche conto da regolare all’interno della Chiesa), perché i panni sporchi si lavano in sagrestia (e chissenefrega se gli italiani non capiscono, e poi pagano il conto, politico ed economico, delle nuove concessioni che il governo deciderà di fare alla Chiesa per riacquisirne le grazie).

Di sicuro però condivido l’allarme di “Repubblica”, sperando che i timori siano esagerati, e mi auguro che il comitato parlamentare di cui fa parte anche Emanuele Fiano – che conosco bene, e nei confronti del quale nutro moltissima stima – faccia tutto il possibile per accertare se e in che modo c’è dietro la solita “manina sporca”.

SLA e Lourdes: ecco le precisazioni del neurologo

Come i lettori di questo blog sanno, avevo scritto una e-mail al neurologo che alle Molinette di Torino ha in cura la signora malata di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) che dopo un pellegrinaggio a Lourdes ha mostrato un netto miglioramento delle sue condizioni.

Poco fa il professor Adriano Chiò mi ha risposto con un’e-mail gentile e ricca di informazioni, e anche se la prossima settimana ho intenzione di chiamarlo al telefono per ulteriori chiarimenti, vista la piega che hanno preso tanti articoli miracolistici più o meno superficiali che circolano in rete, mi pare importante riportare subito gli estratti che mi paiono più rilevanti nell’ottica dell’impatto sociale che questa vicenda sta avendo e sicuramente continuerà ad avere nei prossimi giorni.

Mi ha scritto – tra le altre cose – il professor Adriano Chiò:

«Come avrà notato, non ho parlato di ‘miracolo’.
Credo che si debba trovare una spiegazione scientifica per quanto è stato osservato. Vorrei comunque precisare che la pz era affetta da sclerosi laterale primaria, che è una variante piramidale della molto più comune SLA.

[…]

… proprio due giorni fa sono venuto a conoscenza di un caso seguito da un mio collega di Roma che ha presentato una ripresa della deambulazione e della deglutizione (aveva la PEG ed era in sedia a rotelle)

[…]

In sostanza, penso che un caso di questo tipo debba spingere il mondo della ricerca a riconsiderare le forme ‘atipiche’ di SLA per identificare eventuali quadri con possibilità di almeno parziale possibilità di regressione».

Il mio primo pensiero quando ho letto del caso analogo a Roma è stato: possibile che con questa forma atipica ci siano stati due casi di miglioramento solo in Italia e nessun altro caso nel resto del mondo?

A me sembra strano, ma visto che a metà della prossima settimana sentirò il professor Chiò al telefono chiederò a lui se sbaglio a immaginare che questa eventualità si debba per forza essere già presentata anche in altri paesi, chissà quante volte.

“Alzati e cammina!” La donna con la SLA e il miracolo di Lourdes

NOTA BENE
Dopo aver ricevuto una e-mail dal neurologo
ho scritto un nuovo articolo,
che invito gli interessati a leggere.

Sono sempre belle le storie dei miracoli.

Un attimo prima uno aveva una brutta malattia e un attimo dopo sta meglio, o magari è guarito del tutto.
Come la signora di cui parlano i giornali, che è partita per Lourdes in barella – per colpa della sclerosi laterale amiotrofica che da alcuni anni l’aveva progressivamente costretta in sedia a rotelle – ed è tornata praticamente guarita.

Ieri ne ha parlato Repubblica, con un articoletto talmente privo di informazioni da gridare vendetta.

Letto l’articolo di Repubblica mi sono arrabbiato per la superficialità con cui la stampa in Italia è pronta ad accreditare il “miracolo”, ma la cosa è morta lì.

Stamattina ho visto che l’articoletto circolava su Facebook, e ho deciso di scrivere al neurologo, il dottor Adriano Chiò dell’Ospedale Le Molinette di Torino, per chiedergli qualche informazione in più. Poi ho visto che oggi la notizia era stata ripresa anche dal Corriere, con qualche dettaglio in più e – soprattutto – la domanda più ragionevole: “Ma siamo davvero sicuri che la signora Antonietta Raco fosse malata di Sla? ” [aggiunta del 31/8/2009: Il giorno dopo la pubblicazione, il corriere della sera ha modificato l’articolo togliendo proprio la frase cui mi riferivo io. Sul sito dei volontari di Lourdes trovate il testo originale]

Stavo facendo altro quando un medico [CORREZIONE DEL 28/8/2009: Non si tratta di un medico, ma di un millantatore sotto processo per truffa che ama assumere identità fasulle in rete, con cui avevo avuto a che fare in passato e che da allora ce l’ha con me] che quest’estate era intervenuto più volte polemicamente nel post in cui dedicavo una poesiola senza pretese alla “Madonna Palindroma” (su cui qualcun altro pretendeva di parlare di una statuetta lacrimante per miracolo) ha lasciato un ulteriore commento, spedendomi l’intero articoletto di Repubblica introdotto solo dalla frase: “giusto per farle capire delle cose”.

Siccome aveva scritto un sacco di cose confuse, accusandomi di essere maleducato con chi crede ai miracoli e pretendendo di dirmi che non mi devo permettere di offenderli, aveva tutta l’aria di dire: “Vedi? I miracoli esistono e io non sono l’unico medico che non sa spiegare le guarigioni miracolose”.

Io sui miracoli e sulla religione continuo a pensarla come Troisi in questa clip, e spero che il neurologo di Torino risponda alla mia e-mail e mi chiarisca almeno alcuni tra i molti punti oscuri di questa vicenda, che per il momento mi pare molto più ragionevole spiegare con un errore di diagnosi (i segni e sintomi della SLA sono comuni a molte altre malattie, e viene fatta per esclusione, come spiega bene questo testo pubblicato dal National Institute for Neurological Disorders and Stroke americano) che non con un intervento divino.

Visto che a quanto pare – sempre stando ai quotidiani, che spesso sono poco attendibili sui dettagli – gli unici sintomi che ci sono ancora sono quelli con cui la signora si è presentata in ospedale, mi sembra ragionevole pensare – fino a prova contraria, o a nuovi elementi – che l’evoluzione verso la sedia a rotelle possa essere attribuita ad altre cause, come per esempio uno stato depressivo, magari peggiorato dalla diagnosi stessa.

Caspita, se ti dicono che hai una malattia gravemente invalidante e incurabile è normale che ti deprimi.

Poi il viaggio a Lourdes riaccende la speranza… e i sintomi peggiori (ma sempre poca roba, rispetto a quelli della SLA in stadio avanzato, se si trattava solo di non avere la forza di camminare) svaniscono di botto.

E rimane solo quel fastidio alla gamba che anni fa aveva indotto i medici a fare quella sconvolgente diagnosi, fastidio che a questo punto sembra una sciocchezzuola.

Il testo americano è chiaro su un punto:

Because of the prognosis carried by this diagnosis and the variety of diseases or disorders that can resemble ALS in the early stages of the disease, patients may wish to obtain a second neurological opinion.


“Vista la prognosi conseguente a questa diagnosi, e la varietà di malattie e disturbi che possono assomigliare alla SLA nelle sue fasi iniziali, i pazienti potrebbero voler avere il parere di un secondo neurologo”.

Questo invito a chiedere conferma a un secondo specialista è la dimostrazione che con la SLA anche il miglior neurologo può sbagliare diagnosi.
Il miglior neurologo ha anche la capacità e l’onestà di ammetterlo (senza cedere alla tentazione di lasciar pensare a un miracolo).

Corro troppo? Probabilmente sì. Ma non quanto chi grida al miracolo.

E poi io sono prontissimo a rimettere tutte le mie ipotesi in discussione se il neurologo delle Molinette di Torino sarà così gentile da rispondermi.

POST SCRIPTUM: Ho aggiunto nei commenti molte informazioni utili reperite successivamente alla stesura di questo articolo, che invito tutti a leggere.

Magdi Cristiano (o crociato?) Allam

Mi ha colpito e lasciato l’amaro in bocca e un brivido lungo la schiena la lunga lettera con cui il giornalista Magdi Allam, vice-direttore “ad personam” (con una di quelle qualifiche buffe che esistono nelle grandi testate) del Corriere della Sera, ha annunciato al mondo la sua avvenuta conversione dall’Islam alla Religione Cattolica, celebrata nientemeno che dal Papa Benedetto XVI in persona, in virtù della quale ha assunto il nome di “Cristiano”.

Gli spunti di riflessione sono tanti, ma quello che mi urge sottolineare è un punto di fondo: lui spiega (in una lettera dai toni in molti passaggi medioevali) che la sua conversione nasce dall’osservazione che l’Islam è fondamentalmente una religione violenta, che giustifica le falsità.

Il miracolo della Risurrezione di Cristo si è riverberato sulla mia anima liberandola dalle tenebre di una predicazione dove l’odio e l’intolleranza nei confronti del «diverso», condannato acriticamente quale «nemico», primeggiano sull’amore e il rispetto del «prossimo » che è sempre e comunque «persona»; così come la mia mente si è affrancata dall’oscurantismo di un’ideologia che legittima la menzogna e la dissimulazione, la morte violenta che induce all’omicidio e al suicidio, la cieca sottomissione e la tirannia, permettendomi di aderire all’autentica religione della Verità, della Vita e della Libertà. Nella mia prima Pasqua da cristiano io non ho scoperto solo Gesù, ho scoperto per la prima volta il vero e unico Dio, che è il Dio della Fede e Ragione.

Poi spiega che lui, i suoi molti padri spirituali e il papa stesso hanno deciso che era cosa buona e giusta dare un risalto mediatico mondiale a questo fatto privato:

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