La Tavola Valdese: «Lasciate in pace gli Englaro!»

Ancora una volta i Valdesi dimostrano che amore per il messaggio cristiano non vuol dire per forza ignoranza e prevaricazione: ecco il comunicato-stampa con cui la commissione bioetica della Tavola Valdese ha commentato oggi l’ennesima vergognosa trovata di questo governo di ipocriti.

Comunicato Stampa

27 Novembre 2010

La Commissione bioetica della Tavola valdese esprime la propria disapprovazione per la decisione del Governo italiano di indire per il 9 Febbraio 2011 la Giornata nazionale degli Stati Vegetativi. L’obiettivo, in sé condivisibile, di “dar voce a coloro che vivono in stato vegetativo”, in occasione dell’anniversario della morte di Eluana Englaro, rappresenta l’ennesima offesa alla memoria di Eluana e al dolore della famiglia Englaro. Preoccupa l’ipocrisia di coloro che, dicendosi cristiani, sostengono di volere unire su un obiettivo che è palesemente destinato a dividere: la difesa del principio assoluto di sacralità della vita.
Le dichiarazioni del Sottosegretario alla salute, Eugenia Roccella, inoltre, secondo cui lo stato vegetativo equivarrebbe a una forma di “disabilità grave” risentono di un’impostazione culturale arretrata e marcatamente ideologica e sono in contrasto con tutte le classificazioni delle Società Neurologiche e delle Società di Cure Intensive e Palliative internazionali.

La Commissione bioetica della Tavola Valdese.

A un anno dalla morte di Eluana Englaro

Presidente Fini,

sono un sostenitore dell’appello per il testamento biologico (www.appellotestamentobiologico.it) promosso dal senatore Ignazio Marino e da numerose personalità del mondo giuridico, scientifico e culturale italiano.

Come Lei ben sa, la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, approvata dal Senato sarà presto all’esame dell’Aula della Camera dei Deputati.

In questa occasione, ci tengo a farLe sapere che io al Parlamento italiano chiedo una legge per il diritto alla salute ma contro l’obbligo alle terapie. Chiedo una legge laica, tracciata nel solco dell’art. 32 della nostra Costituzione.


A Lei, rispettosamente chiedo che faccia tutto ciò che è in suo potere per fare sì che in aula ci sia u
n confronto che consenta di uscire da un’impostazione ideologica, rendendo la legge utile per le persone in modo che ciascuno possa scegliere liberamente a quali terapie sottoporsi e a quali rinunciare.

Fabio Turone, Milano

Invio questo testo al Presidente della Camera Gianfranco Fini aderendo all’invito del senatore Ignazio Marino, che sull’argomento ha pubblicato questo video nel sito Cambia l’Italia:

P.S. L’unico appunto che mi sento di fare è tecnico, futile ma fino a un certo punto: i videomessaggi sono importanti e utili, e se sono fatti bene si nota. In questo senso credo che con un po’ di attenzione in più all’illuminazione (e al bilanciamento del bianco) questa modalità di comunicazione ne guadagnerebbe in termini di efficacia complessiva (ma forse ho la deformazione “amatoriale” da videomaker della domenica…).

Caso Eluana: alcuni precedenti su cui riflettere

Ieri pomeriggio, poche ore prima che Eluana morisse, ho parlato al telefono con il professor Carlo Alberto Defanti, il neurologo e bioeticista (per anni ha diretto la Consulta laica di Bioetica di Milano) che ha avuto in cura Eluana dal 1994, per l’articolo che stavo scrivendo per il British Medical Journal.

Tra le tante cose che mi ha raccontato, ce ne sono due su cui il dibattito italiano ha taciuto, ma che secondo me sono importanti:

* da un lato mi ha ribadito che nei diciassette anni trascorsi in stato vegetativo (prima di Defanti altri neurologi l’hanno seguita giungendo alla stessa diagnosi) Eluana Englaro non ha mai dato segni di quello che i neurologi chiamano “stato di minima coscienza”, quella condizione per certi versi intermedia, borderline, in cui la persona ha occasionali “risvegli” durante i quali riacquista una qualche forma di contatto con il mondo esterno (ne ho parlato in questo post)

* dall’altro lato mi ha ricordato che casi come questo non possono più accadere in Gran Bretagna dal 1994, da quando il caso di Tony Bland finì in tribunale e le Corti incaricate di decidere se i medici avevano il diritto di interrompere alimentazione e nutrizione artificiali optarono per il sì.

Questo mi ha fatto tornare in mente anche un controverso caso irlandese, risalente al luglio del 2007, in cui il parere dei medici sull’opportunità di continuare ad alimentare una donna di 51 anni si è scontrato con il volere della figlia, che si è appellata al tribunale invocando anche la legge sui diritti umani. Il giudice dell’Alta corte di Belfast si richiamò al caso di Tony Bland, e ritenne di non opporsi alla decisione dell’ospedale, affermando: “La triste verità è che questa donna continuerà a deteriorarsi e la morte sopraggiungerà”.

E’ questa triste verità che in tanti stanno cercando di continuare a non vedere: la morte esiste, ed è inevitabile. Ci sono casi in cui può valere la pena di lottare per contrastarla, o per rinviarla, ma ce ne sono altri in cui la cosa più saggia che ciascuno di noi possa fare è cercare di prepararsi a morire nel modo che gli pare il migliore, o addirittura scegliere il momento, come decise di fare mio papà.

Chiudo con un video che con la vicenda di Eluana non c’entra nulla, ma secondo me spiega perfettamente perché certe persone — e sulla base di quello che ho letto sono convinto che Eluana fosse tra queste — non accettano di sopravvivere, trasformate e profondamente menomate, in uno stato che suscita solo l’altrui compassione, e ne sono umiliate, perché vogliono lasciare di sé un ricordo diverso.

L’«ultima lezione» del professor Randy Pausch, tenuta quando sapeva che il tumore del pancreas gli avrebbe lasciato pochi mesi di vita.

Forse questa storia darà coraggio ai parlamentari che temono talmente la morte da voler cercare ancora di nasconderla sotto il tappeto dell’ipocrisia.

Minima coscienza

Sembra un contrappasso: la migliore definizione per la gran parte dell’informazione su coma e stato vegetativo (che non andrebbe confuso con lo “stato di minima coscienza”, che è una cosa diversa) è proprio quella di “stato vegetativo”, e in alcuni casi di “minima coscienza” (intesa come coscienza professionale).
Daniela, nel suo blog “Mente & Psiche”, ha da poco fatto nuovamente il punto su tutto quello che bisognerebbe sapere su coma e stati vegetativi (Il coma non è morbillo):

In questi giorni leggo sui giornali e vedo nelle trasmissioni televisive (una tra tutte il Porta a Porta di giovedì sera) una gran confusione di termini, non sempre dovuta a ignoranza ma, temo, al tentativo deliberato di fare un po’ di fumo per confondere le idee della gente.

[…]

Il paziente in coma in genere non è in grado di rispondere agli stimoli esterni e per lo più ha gli occhi chiusi e non mantiene il ritmo sonno-veglia. Anche nel coma ci sono diverse gradazioni che vengono misurate sulla base di una scala usata in tutto il mondo, la scala di Glasgow.

Il paziente in coma può “scivolare” nel cosiddetto stato vegetativo persistente: quello che lo differenzia dal coma stesso è il fatto che il malato comincia ad aprire gli occhi in base alla luce e al buio e si muove, ma mai in risposta a stimoli ambientali (può anche guardarsi in giro, ma non è possibile trovare un nesso causale ripetuto tra movimento e stimolo).

[…]

In alcuni rari casi vi possono essere errori diagnostici, per esempio perché il paziente ha anche un problema motorio (cioè è parzialmente o totalmente paralizzato): può darsi che sia invece in quello che viene chiamato stato di minima coscienza, che in parte si sovrappone alle forme più lievi di coma. Ciò significa che il malato è in realtà in grado di comprendere almeno in parte ciò che gli sta accadendo attorno ma non sa come rispondere volontariamente. Se la diagnosi è però corredata da tutti gli esami necessari e, soprattutto, se la situazione è rimasta immutata per molti anni, le probabilità di errore sono bassissime.

La gran parte dei media, però, continua a parlare di risvegli dallo stato vegetativo dopo decine di anni, quando si tratta invece di persone in stato di minima coscienza, come quello di Terry Wallis citato – inevitabilmente a sproposito, e forse con dosata malizia – da Bruno Vespa.

In questo senso è molto interessante uno studio pubblicato di recente sulla rivista “Neurology”, organo ufficiale dell’American Academy of Neurology, che ha valutato la copertura mediatica del caso di Terri Schiavo, per molti versi analogo a quello di Eluana Englaro, e la cui conclusione (che traduco dall’abstract) è molto esplicita:

La copertura mediatica ha compreso confutazioni della diagnosi di stato vegetativo persistente (SVP), attribuito comportamenti incompatibili con lo stato vegetativo persistente e usato linguaggio forte per descrivere il processo decisionale sul fine vita.
Occorrono strategie per ottenere una maggiore coerenza interna nella comunità professionale e una comunicazione efficace con le comunità di pazienti, con le famiglie, i media e tutte le persone coinvolte

E occorrerebbe, aggiungo io, evitare di fare confusione tra condizioni cliniche ben distinte, e usare i casi di persone in stato di minima coscienza (dal quale è relativamente più frequente che si possa “risvegliarsi”, per riprendere un contatto con la realtà, seppure limitato e parziale) per affermare che dallo stato vegetativo persistente si torna indietro anche a distanza di venti o più anni.

E’ una questione di coscienza (per quelli che alla coscienza, non solo professionale, danno importanza).

P.S. Ho trovato un servizio (circa 10 minuti) della trasmissione “60 minutes” della CBS americana che mi sembra molto ben fatto. Il nome che ricorre, che in inglese viene pronunciato sciàvo, è quello di Terri Schiavo.