Oggi sono stato ancora una volta a cantare in una Chiesa con gli amici del coro.
Ancora una volta per un lutto che ha colpito il nostro coro: se n’è andato il papà di Rossana, un’amica con cui canto da anni. Lo avevo visto solo una volta, brevemente, quando era venuto a prendere il climatizzatore portatile che prestavamo a Rossana per aiutarla a sopportare il caldo estivo a fine gravidanza, qualche anno fa. Insomma, non lo conoscevo. Però in Chiesa, mentre cantavamo un Requiem barocco cubano del nostro repertorio e poi un brano brasiliano che festeggia l’ingresso in paradiso di un fratello morto in mare, non ho trattenuto le lacrime. Lo stesso con Oce Nasc, il Padre Nostro in russo.
Certo, ho pensato a mio papà, che se n’è andato troppo presto, senza avere l’occasione di conoscere le nipotine, ma non era solo quello.
Ero in chiesa, eravamo in chiesa per un funerale, e pensavo alla morte. E a Dio. E alla musica.
E mentre mi sforzavo di cantare bene, a dispetto della voce rotta, ripensavo alla battaglia dell’UAAR per il commiato laico. E mi dicevo che sì, è fondamentale, ma in effetti le chiese sono belle quando chi le occupa e le tiene vive lo fa con umanità, ed è capace – come il prete che ha preso brevemente la parola stamattina – di affiancare un brano della liturgia classica a una citazione molto bella di Luigi Pintor. E riesce a far sentire tutti parte della stessa umanità, ciascuno con le proprie sfumature.
E mi dicevo che di persone così Dio, se esiste, può andare fiero.
E ripensavo con tristezza all’altra occasione recente in cui ho pianto cantando in una chiesa, quando nel celebrare la morte di Paolo, un compagno di coro colpito da una brutta malattia neurodegenerativa, ci è toccato ascoltare il suo “padre spirituale” usare nei suoi confronti un tono e termini non solo impietosi ma offensivi. Pare che in quella comunità di cattolici un po’ particolari si usi così, ma secondo me di persone come quella lì Dio, se esiste, non ha una grande opinione.
E pensavo che certi luoghi, specie in certi momenti, hanno la capacità di rendere la musica ancor più potente. Sta poi a chi quei luoghi li frequenta, e magari si assume l’onore e l’onere di rappresentare in terra qualcosa di ultraterreno, far sì che quel potere sia usato e non abusato.
Ma la musica è parte della tradizione religiosa sempre e comunque, persino quando è musica di modesta qualità eseguita malamente. Come alla recità di Hanukkà alla scuola di mia figlia, in cui mi è stato chiesto di cantare nel coro dei genitori, e io ho accettato per fare piacere a mia figlia e alle sue insegnanti e perché serviva qualcuno che cantasse, e io lo so fare benino. Che si trattasse di invocazioni e di benedizioni, per me, era secondario: il pubblico in sala poteva viverlo come un atto religioso, ma per me il mio era un atto di servizio alla comunità (fra l’altro ero l’unico uomo, e non avevo neppure la kippà “d’ordinanza”).
Quando alla fine un’amica mi ha chiesto scherzando se allora mi ero convertito ho provato a spiegarle che il mio era un gesto laico, ma non so se ha capito.
Ha invece capito, o forse ha creduto di capire, la mia battuta sul fatto che non credo che Dio esista, ma credo che se esiste non sta a guardare se uno ha rispettato le regole religiose, si è fatto circoncidere o si fa sempre il segno della croce e si confessa regolarmente…
Dio, se esiste, è capace di valutare su ben altre basi quelli da accogliere in Paradiso a cantare insieme a lui.
Ad ogni modo alla prima occasione le farò leggere questo meraviglioso testo di Giulio Mozzi (tratto dal volume Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, scaricabile in pdf dal sito dell’autore) che ho conosciuto grazie all’amico cantante, mimo, acrobata, attore e tanguero Sergio Paladino, che pure ha condiviso il coro per molti anni.
Invocazione (Giulio Mozzi)
in memoria di Eros Alesi
Tu che esisti: tu che non esisti: tu che puoi essere pensato solo come esistente: tu che solo a pensare che esisti fai impallidire tutto l’esistente: tu che sei molto resistente.
Tu che sei nella storia: tu che guidi la storia: tu che da molto tempo sei sparito dalla storia: tu che sei nel tempo fuori della storia: tu che tutte le storie sono la tua storia: tu che sei sempre stato tutta un’altra storia.
Tu che sei il dio del principio e della fine: tu che per te il tempo è solo una vacanza dall’eternità: tu che non si è mai capito cosa combinassi prima di creare il mondo e il tempo: tu che non si è mai capito perché dopo aver fatto il mondo e il tempo dovresti disfarli e ripristinare l’eternità.
Tu che sei il dio che parla: tu che sei il dio muto: tu che hai una risposta per tutti: tu che non hai mai risposto a nessuno: tu che forse ti parli e ti rispondi da solo: tu di cui noi parliamo e ci rispondiamo da soli.
Tu che ci hai creati a tua immagine e somiglianza: tu che noi abbiamo creato a nostra immagine e somiglianza: tu che non ci somigli affatto a causa della tua solitudine: tu cui noi non somigliamo affatto a causa della nostra moltitudine: tu che forse ci hai creati solo perché volevi un po’ di compagnia: tu che forse quella che ti abbiamo data non era poi della migliore: tu che in fondo è colpa tua se noi siamo qui.
Tu che sei dovunque: tu che non sei da nessuna parte: tu che sei nell’alto dei cieli: tu che sei nel profondo delle nostre coscienze: tu che per noi sei in tutti gli altri: tu che per tutti gli altri sei in noi: tu che ti ritiri da tutti i posti nei quali ti cerchiamo: tu che ci siamo anche stufati di cercarti: fatti un po’ vedere.
Tu che ti sei ritirato dai cieli: tu che ti sei ritirato dalle stagioni: tu che ti sei ritirato dai campi e dalle acque: tu che ti sei ritirato dalle piante e dagli animali: tu che ti sei ritirato dagli idoli: tu che ti sei ritirato dalle edicole agli angoli delle strade: tu che batti in ritirata da secoli: tu che noi ti inseguiamo ma la tua ritirata è straordinariamente veloce: tu che noi disprezziamo come un dio codardo che si ritira: tu che in somma aspettaci: fermati.
Tu che difronte a Giobbe hai proclamata la tua incontrollabile potenza: tu che nel corpo morto del tuo preteso figlio hai dimostrata tutta la tua impotenza: tu che da duemila anni spacci per imminente l’esibizione della tua potenza: tu che ti aspettiamo ancora dopo duemila anni e siamo qui e la tua potenza non si vede. Tu che nei secoli ti sei travestito da giardiniere: da viaggiatore: da angelo lottatore: da cespuglio che brucia: da colonna di fuoco e fumo: da generale in battaglia: da falegname: da lingua di fuoco: da colomba: da grande vecchio con la barba bianca: tu che non si sa bene chi sei e che potresti essere chiunque: tu che pretendi di essere in chiunque: tu che chiunque non oserebbe pretendere di sentirti dentro di sé.
Tu il cui nome non può essere pronunciato invano: tu il cui nome appena sussurrato può salvare una vita: tu sul cui conto non si può dire niente di sensato: tu di cui non si fa che parlare: tu che con le tue parole e i commenti alle tue parole e i commenti ai commenti delle tue parole hai stracolmato le biblioteche: tu che forse esisti solo come una cosa della quale si parla da sempre: tu che sei solo parole.
Tu che sei la causa e il motivo di qualunque discorso: tu che sei grammatica e sintassi di qualunque frase: tu che ti annidi nelle congiunzioni e nelle interiezioni: negli avverbi e nei pronomi: nelle preposizioni semplici e in quelle articolate: tu che non sei mai nella sostanza del discorso: tu che sei sempre nello svolgimento del discorso: tu che sei il discorrere puro o almeno così si dice.
Tu che sei una grande storia: tu che sei una storia che è finita da un pezzo: tu che sei una storia interminabile: tu che sei stato portato dalla croce agli altari e dagli altari agli schermi: tu che sei stato cantato da tutte le voci: glorificato da tutte le orchestre: adorato in tutti i continenti: tu che sei di casa nelle dimore regali e presidenziali e dentro tutte le case dei più piccoli uomini: tu che sostieni di stare bene lì come qui.
Tu che puoi essere oggetto di qualunque discorso: tu che hai fabbricati tutti i discorsi: tu che hai reso vano qualunque discorso: tu che hai resa nota la vanità del tutto: tu che hai proclamato il valore assoluto di qualunque qualcosa: tu che forse sei una cosa: tu che forse non sei: tu che a questo punto non è molto importante se sei o non sei.
Tu che io sono qui e non ti vedo: tu che io un’altra volta ti ho visto: tu che io non so se credere a questa volta o all’altra volta: tu che io ti vorrei vedere un’altra volta: una buona volta.
Tu che sei da qualche parte dentro questa carne che mi circonda: tu che a crederti mi sei padre e madre e fratello e sorella: tu che grazie a te tutti noi ci siamo tutti padri e madri e fratelli e sorelle: tu che da quando ti conosco non hai fatto altro che incrementare il mio parentado: tu che io non mi sento tuo figlio o figlia o fratello o sorella: tu che sembri un incesto universale.
Tu che giochi crudelmente a nascondino: tu che godi ad essere cercato come i bambini che si nascondono sotto il divano: come coloro che sanno di essere desiderati e desiderano incrementare il desiderio: come le donne corteggiate che fanno le ritrose: come gli uomini corteggiati che fanno i veri duri: come colui che sente di esistere in quanto sente di essere desiderato: che tutti sanno che è una cosa infantile.
Tu che sei nudo e non hai nessuna vergogna della tua nudità perché la tua nudità è bellissima: tu che grazie alla bellezza della tua nudità la mia nudità è bellissima: tu che se è vero che ci hai creati ci hai creati nudi: tu che ci hai confezionati i nostri primi vestiti con le tue stesse mani: tu che ci darai un vestito di luce che sarà come non avere nessun vestito eppure sarà un vestito bellissimo: tu che così si dice, si dice, si dice, e non si sa.
Tu che io non so dove sei.
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